Iran, domenica 7 giugno: al termine di un’attesa durata ben undici anni, il Consiglio dei Guardiani approva una legge volta a proteggere i minori dall’abbandono e dall’abuso sia fisico che psicologico. Evento che segue lo sdegno nazionale per la decapitazione avvenuta a fine maggio della quattordicenne Romina Ashrafi presumibilmente da parte del padre. Si tratterebbe dell’ultimo dei cosiddetti “delitti d’onore”. E proprio in onore dell’adolescente, sembra che la nuova norma prenderà il nome di “Legge Romina”.
«Un esempio di palesi violazioni dei diritti dei bambini»
Queste le parole con cui Reza Jafari, deputato dell’organizzazione assistenziale per gli affari sociali della provincia di Gilan, descrive l’omicidio avvenuto il 27 maggio scorso nella piccola città di Haviq, tra le quiete colline dell’Iran settentrionale. Secondo quanto riportato dai media, Romina era scappata a seguito di un rifiuto da parte del padre, Reza Ashrafi, di accettare la sua relazione con il ventottenne Bahman Khavari. I familiari di entrambi avevano sporto denuncia per ostacolare la relazione. Romina, convocata dalla polizia, aveva supplicato il giudice di non rimandarla a casa perché conosceva il temperamento del padre. Egli, infatti, aveva già provato diverse volte a convincere la moglie a indurre la figlia al suicidio, per aver disonorato la famiglia. Quella stessa notte, mentre l’adolescente dormiva, il padre le ha tagliato la testa con una falce. Il giorno seguente ha confessato l’omicidio mostrando alla polizia l’arma del delitto.
«Dai tre ai dieci anni di prigione»
Secondo il New York Times, Reza Ashrafi si sarebbe recato da un avvocato circa tre settimane prima dell’accaduto. L’avrebbe fatto per conoscere la sua sorte in caso di infanticidio. Il legale l’avrebbe rassicurato affermando che avrebbe ricevuto al massimo una pena di dieci anni in prigione. Ai sensi dell’art. 301 dell’attuale Codice penale islamico, il padre o il nonno paterno che uccide il figlio/nipote, se il reo e la vittima hanno entrambi la stessa religione e sono musulmani, non può essere punito con qesas, ossia la pena di morte. In questi casi la qesas si converte in diyhe (pena pecuniaria) e/o ta’zir (pena diversa dalla detenzione, ad esempio frustate). Dunque Reza Ashrafi, in quanto “tutore” della figlia, a differenza della madre, sarebbe esente dalla pena capitale in caso di infanticidio. Ma il capo della Magistratura iraniana non è d’accordo. Ebrahim Raisi, a seguito del clamore mediatico, decide di punire il padre di Romina proprio con la pena di morte.
La nuova legge Romina
Lo può fare con il supporto della nuova legge, che permette non solo la criminalizzazione degli abusi fisici, ma anche la determinazione di pene più severe nei confronti di chi, per esempio, nega l’istruzione ai bambini, li costringe a lavorare o li molesta fisicamente o emotivamente. La nuova legge coinvolgerà anche Magistratura e sicurezza, “obbligandole” a denunciare d’ufficio tutti i casi di abuso su minori. Inoltre, i minori andranno tutelati sotto la protezione dei servizi sociali fino al termine delle indagini.
Se questa legge fosse stata approvata prima, sarebbe stato illegale rimandare a casa Romina dopo le suppliche della ragazza. Magari oggi sarebbe ancora viva.
Una piccola conquista, ma c’è ancora molto da fare
«È la prima volta nel quadro giuridico iraniano che viene definito “crimine” fare del male a un bambino».
Questa la dichiarazione di Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Center for Human Rights in Iran. La legge Romina rappresenta sicuramente un traguardo importante per la Repubblica Islamica. Ma resta ancora molto da fare. Non sono ancora state affrontate questioni come il matrimonio minorile, consentito dai tredici anni di età.
Quello che sappiamo per certo è che, ancora una volta, la lotta per la giustizia si è combattuta (anche) online. Senza la reazione mediatica internazionale, l’omicidio di Romina Ashrafi sarebbe rimasto impunito.