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Lazio: fine della corsa e dei sogni

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La Lazio esce dall’Europa League tra i fischi e gli insulti a Lotito: lo Sparta Praga con tre goal la fa a pezzi mettendo a nudo tutti i limiti di una squadra che secondo Tare era difficilmente migliorabile.

 

Con la sconfitta casalinga della Lazio finisce la terribile due giorni del calcio italiano che ha visto uscire anche una Juve stanca e sulle gambe dalla Champion’s. Nel caso della Lazio però siamo davanti all’ultimo atto di una disfatta stagionale, una Caporetto il cui contraccolpo si farà sentire eccome nel prosieguo della stagione. Al di là di inimmaginabili e improponibili alibi, la responsabilità di quello che ha le caratteristiche di un completo e impietoso fallimento sono al 90% della società che ha due nomi e cognomi: Claudio Lotito e Igli Tare. Sono loro due i principali responsabili di questo totale disastro annunciato. Il restante dieci per cento lo mettiamo sulle spalle di Pioli incapace di farsi rispettare e di puntare i piedi quando, invece dei rinforzi richiesti, la società gli ha dato i soliti saldi di stagione a parametro zero o le pretenziose scommesse per il futuro che hanno soltanto contribuito a spaccare lo spogliatoio e a togliere le poche certezze di cui ci si faceva scudo l’anno scorso.

Con gli obiettivi che si sono sciolti tutti come neve al sole e con una stagione pressoché già finita a metà marzo, certi proclami da parte di Tare che inneggiava alla possibilità di arrivare in fondo alla competizione europea ora hanno soltanto il sapore dell’ennesima presa in giro. Un presa in giro atroce che meriterebbe a questo punto una chiamata in causa proprio del direttore sportivo che se fosse un uomo d’onore dovrebbe dimettersi seduta stante. Cosa che non farà perché Tare è e continua ad essere una creatura del presidente Lotito in collegamento e dipendenza quasi simbiotica con l’uomo che in questi dieci anni ha fatto piombare la Lazio nella peggiore crisi della sua storia. Una crisi magari non concretizzatasi in cocenti retrocessioni anche se più di una volta ci si è andati vicino, ma che ha nell’aurea mediocritas il suo marchio di fabbrica.

Una mediocrità che, salvo un paio di eccezioni, ha costretto i tifosi della prima squadra della capitale a recitare la parte dei provincialotti sprovveduti, di quelli, tanto per intenderci, che si devono accontentare delle briciole che il loro capo mensa getta loro benevolmente sotto il tavolo. Briciole che hanno progressivamente…sbriciolato l’entusiasmo e l’affetto di un tempo fino ad arrivare alle gradinate desolatamente vuote e agli insulti sui social. La Lazio non era mai arrivata nella sua lunga e gloriosa storia così in basso, ostaggio di una dirigenza che capisce di calcio quanto un rugbista capisce di scherma. Una Lazio che è stata in qualche modo assembrata correndo come sempre dietro alle occasioni, ai parametri zero e a tutto quello che il mercato benevolmente ci ha concesso lasciando appunto gli scarti alla società di Formello ma tenendosi ben stretti quelli di spessore.

E sì perché qui non si tratta solo e soltanto del braccino corto di cui comunque il Lotito lazionale è un fulgido esempio, ma anche di un’atavica incapacità professionale di muoversi adeguatamente all’interno di un mercato le cui micidiali leggi in casa Lazio sono assolutamente ignorate e misconosciute. Tare e Lotito ogni volta che tentano disperatamente di arrivare a qualcuno vengono puntualmente annichiliti dalla ben diversa velocità operativa di chi è loro professionalmente superiore. Due vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro che dopo lungo ramingare finiscono appunto per accontentarsi degli scarti gentilmente offerti dagli altri. Scarti che vengono ogni volta spacciati come l’acquisto del secolo vedi Bicevac, vedi Perea, vedi Alfaro, vedi Kakutà, vedi Saha, vedi Novaretti, vedi Lorik Cana, vedi Gentiletti, vedi Braafheid e vedi tutti gli altri che in questi anni hanno dato il loro “pesante e determinante contributo” alla causa laziale.

In mezzo ogni tanto qualche colpo di spessore arrivato più per caso che a seguito di un’oculata programmazione che da queste parti non esiste e…non può esistere vista l’organizzazione familiare tipo “l’allegra fattoria” che la società si è data nell’impossibilità ergo…incapacità di darsene semplicemente altre  e….stiamo parlando di una società quotata in borsa. Con queste premesse siamo quindi arrivati al disastro annunciato magari con i conti societari a posto ma con la distruzione sportiva di quella che un tempo era una società gloriosa del calcio italiano. Ora come ora ai tifosi imbufaliti e incarogniti non resta altro da fare che asserragliarsi sull’Aventino come si faceva un tempo da queste parti quando le cose non andavano bene e sperare che il gestore si stufi una buona volta di recitare il suo monologo di fronte ad un palcoscenico vuoto. Altre certezze in questo momento terribile non ce ne sono a meno di non aggrapparsi a illusori e quanto mai remoti cambi della guardia…insomma cari tifosi laziali potete solo aspettare e stare buoni…se potete.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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