In molte discussioni intorno alla nascita dell’esecutivo giallorosa trova spazio un atteggiamento curioso ma tipico: il timore che, grazie magari a qualche obolo europeo e a qualche contingenza internazionale favorevole, il governo riesca a fare qualcosa di positivo. Non certo tener fede a tutti i punti del programma, cosa cui non crede nessuno, ma magari a implementarne qualcuno di rilevante, non meramente formale e a costo zero (come ormai inveterata tradizione).
Il mugugno, il dispetto, rispetto a questa prospettiva (non probabilissima, va detto, ma neppure impossibile) è una delle molte versioni italiche del “Tanto peggio, tanto meglio“. Il senso di questo modo di sentire è più o meno: “Quanto prima arriviamo al naufragio, quanto prima si dimostra l’insufficienza di questa opzione, tanto prima opzioni migliori avranno spazio.”
Ecco, personalmente credo che questa forma mentis (questa sì parte dei difetti nazionali) sia radicalmente erronea. In realtà ogni fallimento politico, ogni naufragio, invece di alzare il livello delle opzioni politiche in campo lo abbassa. Non è affatto vero che il fallimento nella gestione della cosa pubblica di una parte a noi distante o avversa prepari il terreno ad alternative migliori, più radicali, più ambiziose.
Quello che succede è semplicemente che il numero dei problemi da gestire in condizioni emergenziali continua a crescere, e che perciò il prossimo giro ci si accontenterà di molto meno “purché diverso”. Ciò alimenta un circolo vizioso di degrado che porta a fondo insieme la politica e le sorti del paese. Questo è un punto su cui temo di trovarmi in notevole isolamento, se devo valutare le discussioni avute in passato all’apertura di ogni nuovo esecutivo.
Io credo che sia sempre utile al paese cercare di sostenere ogni forza politica che è al governo (anche se ci sta strutturalmente antipatica), nella misura in cui sia impegnata a risolvere un problema reale. Questo perché le forze politiche vanno intese per quello che sono: strumenti pubblici per il miglioramento della Repubblica, e non squadre per cui tifare. Le critiche si fanno e si devono fare, ma per orientare il dibattito in una direzione desiderata, non per provocare il puro e semplice fallimento di chi è di volta in volta al potere. Quest’ultima tendenza è invece capillarmente diffusa nel dibattito italiano, dove uno dei grandi piaceri della vita sembra essere il ‘tifo avverso’. E après moi le déluge.
Molti degli amici che ora si compiaceranno per questo atteggiamento costruttivo verso il nuovo governo sono gli stessi che hanno sparato a palle incatenate ogni giorno contro il precedente esecutivo da prima che nascesse, e che hanno continuato a farlo in maniera del tutto acritica fino a due settimane fa. Ora, il gioco ripartirà con altri protagonisti. Personalmente trovo questo modo di concepire la politica sciocco, dannoso al paese e intellettualmente sterile.
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