Le battaglie sociali combattute dai progressisti poggiano su un unico ed inossidabile pilastro: la tutela del discriminato, fino a quando quest’ultimo non accenna una qualche forma di dissidenza. Come nel caso di Ivan Scalfarotto.
di Antonio Di Siena
Lasciamo perdere per un po’ il sacro pallone e torniamo a parlare di cose serie. Perché ieri è successa una cosa davvero esilarante. Una dirigente laziale del PD (con tanto di profilo facebook in cui tiene alla larga “fascisti omofobi razzisti”) ha dato del fr*cio di merda a Scalfarotto, reo secondo lei (è una donna è bene ricordarlo) di aver affossato il DDL Zan.
Che in soldoni significa violare il DDL Zan per difendere il DDL Zan. Una roba da cadere dalla sedia dalle risate e che dimostra, ancora una volta e qualora ce ne fosse davvero bisogno, la vera natura di questi autoproclamati “democratici”. Perché per questa gente le cose funzionano più o meno così.

Il rispetto per l’altro, per il “diverso”, per la minoranza, è un principio sacrosanto da elevare a crociata fino a un parossismo tale da giustificare la soppressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Ma solo finché il discriminato in questione la pensa esattamente come te. Se invece dissente, non accetta acriticamente, si oppone, allora diventa un nemico da poter insultare pubblicamente a piacimento e nei modi peggiori.