Ciò che però disorienta di più, è la reazione pressappoco unanime mostrata da media ed opinione pubblica al di fuori della sfera di influenza leghista; tanto sulle principali testate quanto sui social infatti, il commento in cui si incappa più facilmente e che, pertanto, ritrae la sensazione maggiormente diffusa in seno alla società civile, è un’inattesa apologia del discorso di Giuseppe Conte.
analizzando con la lente d’ingrandimento le parole del premier dimissionario, sorge spontaneo domandarsi se la sindrome di Stendhal suscitata dalla sua udienza e l’improvvisa scoperta di uno statista di portentosa caratura, non siano sentimenti un pelo frettolosi.
Al netto di un linguaggio senz’altro elegante e di una postura accademica, per tempistiche e contenuti, il discorso di ieri rischia di risultare perfino demenziale.
Un conto infatti, è criticare la prepotenza di Salvini nel generare una crisi in un momento strumentale ed inappropriato. Un conto può essere anche quello di evidenziare la sua minor disponibilità al compromesso e al sacrificio – necessaria per una corretta applicazione del contratto di governo – rispetto al Movimento 5 stelle.
invece è redarguire nel merito la linea politica tenuta nell’ultimo anno dal vicepremier; un’agenda concretizzata da decreti e provvedimenti che, nel caso remoto in cui Conte non se ne fosse accorto, portano la firma di chi ha presieduto il Consiglio dei Ministri di cui Salvini ha fatto parte.
Senza dimenticare inoltre, come il pietismo sull’odio, sul cattivissimo e sulla personalizzazione della battaglia contro l’accoglienza, non possa risultare credibile da parte di chi, nel proprio discorso di insediamento, parlò del necessario contrasto alla mangiatoia dell’immigrazione: un vocabolario da puro militante sovranista.
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