Il fatto è questo: pochi sono rimasti a dirlo, ma il concetto non muta. Oggi si festeggia la sconfitta in una guerra. Oggi i figli degli imboscati e i figli di questi ultimi rendono onore e gloria ai terroristi.
Perché l’Italia non l’hanno liberata i bombaroli, gli stupratori, i combattenti che sparavano alle spalle a guerra finita. Gli unici che avrebbero diritto di ricordare, con tutti gli onori, sono i perseguitati razziali: i loro discendenti hanno il diritto, conferito loro dalla truce storia, alle commemorazioni. Gli italiani restano un popolo che non è, né può essere rispettato per la storia recente, considerato doppiogiochista e non degno di fiducia.

Oggi vogliamo ricordare un martire del voltafaccia dell’armistizio. Un nobile ammiraglio di origine piemontese che, nonostante la sua patria fosse il Regno, la sua fede la Monarchia e la sua dignità di combattente fosse al servizio tenace e quasi religioso della Regia Marina, si riunì ai suoi compagni affondati nell’oceano, sparandosi alla tempia.
Così spiega alla madre le ragioni del suo gesto Carlo Fecia, Duca di Cossato: «Da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della Monarchia al momento della pace.
Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso. Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo nella mia vita».